“U Bamminu e casi casi” nel borgo di San Marco d’Alunzio

“Ecco, io sto alla porta e picchio; se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui e ceneró con lui ed egli meco.” Apocalisse 3, 20

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Ha nevicato da poco, i Nebrodi sono coperti d’un bianco manto, le nuvole sono basse; San Marco d’Alunzio, il paesello del messinese è avvolto in una cappa di gelo. Lungo le strade madide di neve sciolta l’unico barlume di vita sono le lucette che si accendono e spengono stancamente attorno agli alberi di Natale; quel festoso calore che fuoriesce dalle case rende i vicoli dabbasso quasi più solitari e sconfortanti.

Tra i vicoli e le viuzze di uno dei borghi più belli d’Italia a breve si aprirà una porta e avrà  inizio un singolare corteo: un simulacro di Gesù bambino sarà portato di corsa e senza formalità alcuna per il paese a benedire le case degli aluntini. Niente preti dunque né giaculatorie, niente banda musicale né fuochi d’artificio, niente stendardi né costumi d’epoca; soltanto un tamburo, suonato alla meno peggio, accompagnerà nella semplicità più assoluta la gioiosa corsa del Bambinello. Un tamburo, una statua e tanta, tantissima amorevole devozione; niente altro.

Alle quindici in punto nell’aria che sa di neve l’atteso tamtam sì diffonde finalmente per le case arroccate. ln men che non si dica il tamburino ed un gruppetto di ragazzi capeggiato da una giovane donna (colei che, come mi è stato spiegato in chiesa, ha curato per quel giorno l’organizzazione del giro e lo seguirà in tutte le sue fasi) giunge innanzi alla casa ove sono in attesa. Tutti calzano scarpe Sportive. Mentre il suonatore continua dabbasso i suoi ritmati virtuosismi, la donna ed i ragazzi varcano allegramente il portone per uscirne appena pochi istanti dopo; uno di essi, raggiante di gioia, regge tra le braccia u Bamminu, Gesù bambino.

Al vedere la statua, la prima reazione è invero di sorpresa. Non si tratta della classica immagine natalizia di Gesù appena disceso in questo mondo, tremante di freddo ed avvolto in miseri panni, bensì della riproduzione a grandezza naturale di un bambinello di circa quattro-cinque anni, paffuto e biondo nei capelli circondati da una regale corona. Una morbida e calda tunica di purpureo velluto avvolge il pupo fino ai piedi quasi volesse ripararlo dal gelo, un vezzoso, femmineo filo di perle circonda il suo collo; la mano destra è alzata e benedicente mentre la sinistra, priva di alcune dita, sembra stendersi verso l’alto a cercare chi voglia prenderla saldamente per mano. Alcuni campanellini d’argento sono legati ai polsi della Statua e tintinnano gioiosamente ad ogni suo movimento.

Chi regge la statua è un ragazzo biondo e con gli occhiali, un sorta di novello san Cristoforo che, curioso particolare, indossa anch’esso una purpurea giacca a vento, proprio come se inconsciamente egli volesse identificarsi col grande mistero che sostiene o quanto meno fare armonioso pendant con esso. Dopo pochi passi, mentre al rullio del tamburo lo sparuto corteo inizia il suo rapido e turbinoso peregrinare per le case, il giovane san Cristoforo quasi furtivamente scocca d’improvviso un tenero bacio sulla guancia del Bambinello. La statua sembra allora ravvivarsi al tocco delle labbra e perdere la sua rigidità, proprio come se si ripetesse al contrario il prodigio dei passerotti; ecco, ora quel pezzo di legno modellato nel ’700 da un ignoto artista è davvero Gesù bambino col suo santo carisma. Ed altra linfa vitale, altro calore conferiscono alla statuetta tutti i passanti che incontrano per strada il piccolo corteo; con grande affetto costoro toccano infatti Gesù, oppure più confidenzialmente gli baciano la veste, le mani, le guance, quasi fosse un nipotino da vezzeggiare o con cui giocare.

Un velo di poesia e grazia avvolge così il corteo sin dalle sue prime battute; poesia che madre Natura coi suoi imprevedibili umori decide all’improvviso di accentuare. Poco prima che il Bambinello uscisse, la cappa di nubi aveva iniziato a diradarsi ed un tenue sole già riscaldava timidamente l’aria facendo risplendere il velo di gelo su selciato e muri. Stranamente però, ora che Gesù è in strada, il cielo si apre del tutto liberando nell’azzurro il sole; inatteso appare così tra le case quanto mi era sfuggito durante la mattinata, la luccicante massa del Tirreno su cui, quasi sospeso sul nulla, sfuma in lontananza il sublime miraggio dell’arcipelago eoliano.

U Bamminu è un po’ in anticipo sulla tabella di marcia e, nonostante l‘assordante suono del tamburo che richiama allegri volti alle finestre, l‘uscio della prima casa da visitare è ancora chiuso. Gesù, o chi per Lui, picchia allora nuovamente. La porta questa volta si apre e compare una donna anziana, vestita di nero; smarrita nel volto la vecchia invita il gruppo ad entrare balbettando frasi poco chiare. Mentre la nostra ospite inizia a confabulare animatamente con l’accompagnatrice spiegandole qualcosa, san Cristoforo, il Bambinello e chi scrive invadono la casa. Gesù viene rapidamente portato in ogni stanza e col suo allegro tintinnio dona gioia e calore agli ambienti, viene posato per pochi istanti su tutti i letti, sul tavolo del soggiorno e della cucina, quindi torna nell’ingresso ove più vivace di prima è in atto la conversazione. “Cummari, non chianciti cchiù, Gesù sti così i sapi” sta dicendo la nostra guida alla vecchina per consolarla; poi con tono deciso, quasi per tagliare corto, la giovane aggiunge ora diciamo la Preghiera e senza esitazione, inizia quindi a recitare la prima parte del Padre Nostro, orazione che la vecchia, superando i suoi affanni, conclude pochi istanti dopo con voce insicura. Infine, nel portarsi rapidamente verso l’uscio, l’accompagnatrice formula le tradizionali parole che chiudono la visita: “Gesù bambino prega per noi” e ci ritroviamo nell’aria gelida ove ci attende il tamburino.

Appena fuori l’affannosa corsa del gruppo riprende; le case della zona da visitare e benedire sono tante, e prima del tramonto bisogna raggiungere in macchina anche quelle poste alla periferia del paese o in aperta campagna e non si può dunque perdere inutilmente tempo. Mentre scendiamo a rotta di collo una scalinata, mi viene rapidamente spiegato il motivo del triste sfogo cui abbiamo appena assistito; si usa in paese far trovare a Gesù bambino la casa ben profumata d’incenso e la vecchietta invece, avendo calcolato male l‘ora di arrivo del Bambinello non aveva ancora provveduto a bruciare l’essenza e ciò le era davvero sembrato una grave mancanza di rispetto.

Ed in effetti entrando nella casa successiva la prima cosa che si percepisce è proprio la fragranza dell’incenso che dilata i polmoni e lo spirito; un odore soave che accoglierà poi l’allegra brigata in tutte le case e che, almeno per me, resterà uno dei ricordi più belli di questa tradizione. Vicino alla gigantesca conca di rame ove fumiga la resina, due vecchine anch’esse vestite di nero stanno ad impastare energicamente in una maidda, il frutto del loro lavoro, maccarruna, o chissà quale angelica mistura, penzola ad asciugare festosamente da alcuni bastoni forse in attesa del convivio di Capodanno. Alla vista del Bambinello l’emozione e la gioia si dipingono sul volto delle due donne. Qualche convenevole e l’immancabile, commosso abbraccio della statua; ancora un rapido giro di Gesù per le stanze della casa, ancora un fugace tocco di letti e tavoli, un rapido ed ispirato Padre Nostro ed un conclusivo “Gesù Bambino prega per noi” . Poi tornati all’uscio, una banconota viene infilata nella fessura della cassetta delle offerte; un cortese ringraziamento e via nel gelo della strada.

Un tempo quando San Marco d’Alunzio era soltanto un gruppetto di case aggrappato ad un cocuzzolo di montagna, u Bamminu, il Bambinello, andava casi casi, ovvero a benedire tutti i focolari del paese nell’arco di un solo giorno; oggi che l’abitato si è molto ingrandito estendendosi a valle, Gesù inizia la benedizione delle famiglie il 26 dicembre e continua poi ogni pomeriggio a girare casa per casa fino al 6 gennaio. Per facilitate il giro, il paese è stato così diviso in una decina di settori, in ognuno dei quali le visite sono organizzate e seguite da una sorta di responsabile di zona che, come abbiamo visto, accompagna personalmente la statua presso le famiglie, recita le tradizionali orazioni e, cosa assai importante, ben conosce tutte le persone ed i loro problemi più intimi e sa quindi come entrare con tatto in ogni famiglia, avendo peraltro una parola buona per ognuno.

La sera poi, in attesa che l’indomani la corsa riprenda, la statua non rientra in parrocchia ma può fermarsi nella chiesa o nel luogo ove gli abitanti del quartiere hanno preparato il presepe; di solito però, Gesù viene ospitato dalle famiglie della zona che ne hanno per tempo fatto richiesta. Così, per accogliere degnamente il divino ospite, si prepara nella stanza “buona” della casa un altarino ornato con candidi tessuti, fiori e lumini, su cui si colloca il simulacro che, per quanto possibile, mai viene lasciato solo dai padroni di casa e dai vicini. Innanzi all‘altare si svolge così una sorta di veglia con veri e propri turni di guardia, si recita il Rosario o, se richiesto, si celebra addirittura la santa Messa. Durante la notte poi, i genitori amano talvolta mettere u Bamminu a “dormire” nella stanza dei propri figli per meglio proteggerli e cullare il loro sonno, quasi fosse una sorta di super Angelo custode; scena dolcissima da immaginare, fatta di morbidi cuscini e sogni dorati, allegri pigiamini e tunichette purpuree.

Estratto parzialmente modificato da LA STRADA DEI SANTI, Viaggio sentimentale per le feste religiose di Sicilia. Giancarlo Santi – Bolelli editore.

Foto di Andrea Monici.

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