A Palermo la memoria di RICORDI FUTURI 3.0. Diaspore in terra di Sicilia

In mostra per la prima volta i decreti di espulsione di grandi luminari universitari nel ventennio fascista. Continua a leggere…

La memoria è altro dalla semplice funzionalità delle cellule cerebrali, è emozione, cultura, costante apprendimento. La memoria ripercorre il filo dei pensieri: è futuro.

Da sempre la cultura ebraica è legata al concetto del ricordo, diventato poi cardine rievocativo della Shoah nella Giornata della Memoria del 27 gennaio. Ed è proprio pensando a questa occasione che la Città Metropolitana e la Fondazione Sant’Elia ospitano a Palermo “RICORDI FUTURI 3.0. Diaspore in terra di Sicilia”, mostra a cura di Ermanno Tedeschi – curatore internazionale con alle spalle tanti anni dedicati alla valorizzazione delle eccellenze culturali ebraiche ed israeliane – e Flavia Alaimo, storica dell’arte già impegnata in eventi espositivi sul tema dell’esodo.

La mostra – nata in coproduzione con la Fondazione Sant’Elia e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Palermo – sarà visitabile dal 25 gennaio al 24 marzo nella sala delle Capriate di Palazzo Sant’Elia. Un’esposizione originale e multimediale con installazioni, oggetti simbolici ed opere d’arte contemporanea, video e proiezioni, armonizzati in un percorso narrativo che conduce ad un’esperienza avvolgente – a tratti graffiante, a tratti subliminale – e di grande effetto emotivo nella memoria della Shoah, che in Sicilia si arricchisce di documenti e materiali storici inediti, come le lettere di espulsione dei professori universitari – tra gli altri, il grande fisico Emilio Segrè, il biochimico Camillo Artom e l’oncologo Maurizio Ascoli – durante il ventennio fascista.

“RICORDI FUTURI 3.0” guarda al passato, ma lo coniuga col presente, rintracciando il dolore di ieri tra i migranti di oggi. Opere come “Legami” di Paolo Amico (nella foto in basso) centrano la fusione tra ieri e oggi: un barcone del 1947 Exodus, riprodotto a penna sfera. PAOLO AMICO Legame_2016_penne a sfera colorate su carta -50x70Metà è in bianco e nero, che accoglie gli ebrei sfuggiti allo sterminio, migranti verso la Terrasanta; l’altra metà è a colori, carica di uomini i cui giubbotti di salvataggio arancioni rimandano ai fatti di cronaca.

“La scelta ricade su palazzi d’epoca con strutture museali, luoghi che con la loro fisicità sono deputati al ricordo e alla trasmissione della nostra storia – spiega Ermanno Tedeschi – Palermo dopo Asti e Torino; e dopo il ricordo della Shoah al Parlamento Europeo di Bruxelles. Perché la Sicilia è più che mai la nuova frontiera delle migrazioni forzate dal sud del mondo e un esempio di accoglienza illuminante. La memoria non è nulla se non incide sul nostro presente, così rapido da esser già futuro. Anche la scelta di opere e artisti, guarda al prossimo, temporale e identitario. E in questo, è pienamente contemporanea”.

La ricorrenza della Giornata della Memoria, cui rimanda questa mostra, non può non citare anche un altro anniversario: ovvero gli ottanta anni dalla promulgazione, per volere di Mussolini, delle prime leggi razziali in Italia (1938). E la stessa Sicilia, oggi terra di approdi, riscopre nelle sue radici ebraiche una cultura millenaria quasi cancellata: quasi 600 anni fa gli ebrei che vivevano pacificamente in Sicilia furono infatti espulsi con un editto dei Reali di Spagna.

La terza edizione della mostra coinvolge numerosi artisti italiani e internazionali con grande attenzione al fermento culturale siciliano e palermitano. Sottolinea Flavia Alaimo, co-curatrice di RICORDI FUTURI 3.0 con Ermanno Tedeschi, che “la mostra accoglie anche giovani esordienti grazie alla collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Palermo; oltre alle opere di artisti siciliani conosciuti come Paolo Amico e Manlio Geraci, che ha realizzato una nuova installazione site specific. Tra le video testimonianze, quella di Evelyne Aouate, algerina francese che ha scelto Palermo come casa, una storia esemplare ed emozionante. Un occhio al futuro e uno alla storia, grazie ai preziosi documenti in prestito dall’Università: le lettere originali di espulsione dei professori ebrei durante il ventennio fascista.

Furono cinque i professori di famiglia ebrea, in forza all’Università di Palermo, che furono privati della cattedra e licenziati nel 1938 a causa delle leggi razziali. Docenti, umanisti e scienziati di grande livello Emilio Segrè, Maurizio Ascoli, Mario Fubini, Alberto Dina e Camillo Artom, furono allontanati il 16 ottobre 1938, in forza dei decreti legge del 2 settembre del ministro Bottai che sancirono l’espulsione degli ebrei da ogni scuola, dall’asilo fino all’Università. Il 10 novembre ci sarebbe stata la promulgazione delle leggi razziali del Gran Consiglio del Fascismo. Il fisico Emilio Segre, in seguito emigrato negli Stati Uniti, collaborò con Enrico Fermi nella messa a punto del primo reattore nucleare, ottenendo per questo il Premio Nobel. Il clinico Maurizio (Mosè) Ascoli è famoso per aver scoperto una cura per la tubercolosi basata sulle iniezioni endovenose di adrenalina: talmente autorevole che un anno prima della cacciata, in occasione della visita di Mussolini a Palermo (20 agosto 1937), venne condotto al cospetto del duce con un gruppo di ammalati guariti con la sua terapia. Fondò l’Ospedale Oncologico di Palermo. L’italianista Mario Fubini fu un grande critico letterario e curò la pubblicazione delle opere del Foscolo; Alberto Dina, ordinario di Ingegneria elettronica e Camillo Artom, uno dei massimi specialisti di biochimica; allievo del Lombroso, ne prese il posto a Palermo ma fu cacciato e ottenne una cattedra in North Carolina, dove insegnò per anni, fino alla morte.

Allestimento contemporaneo, animazioni, binari proiettati su cui scorrono le immagini di persone reali che furono allontanate; altre che narrano con la loro video-testimonianze la sopravvivenza, come Liliana Segre – appena nominata senatrice a vita dal presidente Mattarella – che ha atteso un’intera vita dalla deportazione e ha deciso di ricordare quando è diventata nonna; o il documentario sulle pietre d’inciampo, progetto di Gunter Demnig, prestato dal Museo Diffuso della Resistenza di Torino e realizzato con il contributo di molti studenti.

Poi oggetti simbolici – come un violino rinvenuto in un lager –, le parole e le riflessioni di Gabriele Morello, il contributo di Alessandro Hoffman, per non dimenticare. Un imperativo morale che traspare dagli occhi del ritratto di Primo Levi di Francesca Leone. L’antitesi del ricordo la suggerisce l’opera di Alberto Burri “Buco nero”. L’impegno artistico diviene sfida intellettuale e creativa, per rivitalizzare nelle emozioni di oggi, il ricordo. Talvolta rude, ora struggente o lieve come le impronte di Barbara Nejrotti; il bozzetto “Ruote della memoria” dello scultore Riccardo Cordero da cui è stato realizzato il portale di un ex officina ferroviaria; i testi su tela di Anna Russo, le tele kabalistiche di Tobia Ravà; le intense istallazioni di Carlo Lauricella, le dense narrazioni su olio di Francesca Duscià; il pathos delle opere di Orna Ben Ami, i lavori di Dado Schapira, Aldo Modino, dell’israeliano Moshe Gordon; gli scatti dell’artista slovacco canadese Yuri Dojc, la scultura in graffette con la bambina sdraiata a guardar il cielo di Pietro D’Angelo e le tracce di Adi Kichelmacher.

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